redazione
La fisica quantistica permette di guardare dentro l’atomo ma apre le porte di un mondo altamente controintuitivo per il quale non abbiamo categorie del tutto adeguate ad immaginarlo. Anche chi non si occupa e non si è mai interessato alla fisica, se vuole avere un’idea più profonda della realtà, necessita di nozioni di base su questo ostico aspetto del mondo. Gianmario Marrelli con uno stile brillante ed ironico ci porta dentro alle questioni più spinose della fisica moderna come fossimo studenti della sua classe.
Benvenuti in questa serie di articoli.
Io sono il prof. Gianmario Marrelli, fisico e docente delle scuole superiori, e quando il mio carissimo amico Carlo Martini mi ha chiesto di lavorare a una serie di articoli di fisica, ho pensato di affrontare un problema annoso che colpisce, in modi differenti, scienziati e non.
In queste righe, infatti, vorrei parlare in maniera molto leggera e (speriamo) divertente di fisica (soprattutto quantistica) e, nello specifico, di ciò che viene spesso male interpretato dall’immaginario collettivo.
Per cui, per poter parlare di fisica quantistica, la prima domanda da farsi è: chi gliel’ha fatto fare agli scienziati di inventare una roba così controintuitiva?
Si stava meglio quanto si stava peggio
Sebbene molti elementi della fisica quantistica abbiano conseguenze filosofiche sul mondo (e anche lì, come vedremo nei prossimi articoli, mai al livello che le persone si aspettano), la maggior parte delle applicazioni pratiche della fisica quantistica hanno richiesto un forte sviluppo tecnologico e alcune di esse stanno vedendo la luce solo ora, a oltre un secolo di distanza.
Prima della nascita della fisica quantistica, quella classica era in grado di spiegare, tra meccanica, termodinamica ed elettromagnetismo, la stragrande maggioranza di quei fenomeni detti “macroscopici”, cioè evidenti nella vita dell’uomo.
Ancora oggi progettare edifici, sistemi di riscaldamento, impianti elettrici e perfino fare i calcoli per mandare un razzo sulla luna non richiede competenze di fisica quantistica (per quanto gli apparecchi elettronici utilizzati possano funzionare grazie ad essa, ma avremo modo di riparlarne).
Eppure, a un certo punto, gli scienziati hanno avuto un disperato bisogno di creare una nuova teoria che spiegasse alcuni fenomeni che, invece, non si riuscivano a comprendere con le precedenti teorie.
Ma cos’è una teoria fisica?
Descrizioni della realtà
Una teoria fisica è sostanzialmente:
-un modello matematico;
-che descrive la realtà;
-in grado di fare previsioni verificabili.
Vediamo che vogliono dire queste frasi.
-se faccio una teoria fisica che dice che l’acqua è BELLA ma non ci abiterei, o anche solo che è FRESCA (ma non quantifico questa temperatura), non sto facendo una teoria fisica;
-se faccio una teoria fisica che dice che la massa di un cubo di piombo è inferiore a quella di un cubo d’aria dello stesso volume, non sto facendo una teoria fisica perché non descrivo la realtà.
L’idea di fare previsioni verificabili è più sfaccettata e comprende vari elementi come:
-la capacità di produrre esperimenti che verifichino le mie ipotesi (di fatto, il metodo scientifico);
-l’idea che questi esperimenti siano riproducibili;
-l’idea che io, descritta la legge, possa usarla per prevedere l’andamento di fenomeni ancora non avvenuti.
Prendiamo ad esempio un esempio classico e noto a tutti (i) quanti.
Una catapulta.
Se io carico una catapulta sempre alla stessa maniera, con lo stesso proiettile, mi aspetto che questo andrà a colpire sempre lo stesso punto. Una volta impratichito, mettendo assieme doti matematiche ed esperienza da assediatore medievale, potrei stilare una legge matematica che mi dica, in base al peso e al caricamento della catapulta, dove finisce esattamente il proiettile.
In questo caso, si tratterebbe di una mera applicazione (ampiamente alleggerita) della cosiddetta “meccanica classica”, la fisica di Newton.
Tuttavia, ecco che, quando vado a farlo, il proiettile finisce CIRCA sempre lì. Magari si è spostato un capello a destra. Il mio modello è sbagliato?
Sempre più piccolo
Una possibilità è che io non abbia tenuto in considerazione alcuni elementi: l’umidità potrebbe avere un effetto sul legno della catapulta, il vento potrebbe deviare il percorso del proiettile e così via.
Si aprono qui due soluzioni:
-accettare che il modello è corretto entro una determinata approssimazione (quello che si fa tutt’ora, in generale, con la fisica classica senza entrare nel mondo microscopico)
-raffinare il modello.
Questo secondo approccio, però, produce nuovi problemi.
Per esempio, una volta che io sia stato in grado di creare un modello che, tenendo conto di vento e umidità, mi dica con precisione dove finisce il mio proiettile, potrei chiedermi se il METODO che uso per stabilirlo sia sufficientemente raffinato.
Magari si è spostato MENO di un capello da quello che avevo previsto, ma il mio strumento non è in grado di percepirlo: non è, in gergo scientifico, sufficientemente SENSIBILE.
Ecco che dunque si può cercare di raffinare la propria misura, ottenendo però che nuovi fenomeni che avevo ignorato finora vanno a incidere sul mio modello e sono ora costretto a tenerli in considerazione.
Proseguendo con la sofisticazione, però, andrò prima o poi a sbattere contro degli oggetti talmente piccoli che il sistema che ho progettato non è in grado di descriverli correttamente.
Ed è qui che inizia il viaggio della fisica quantistica.
Nuove scoperte
Si dà il caso, infatti, che i nostri amici scienziati tra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900 abbiano affrontato più di un problema legato ad oggetti molto, molto piccoli.
La teoria atomica era stata accettata dall’inizio del XIX secolo, ma non era chiaro cosa portasse questi atomi ad avere le loro caratteristiche, né come facessero a legarsi tra loro.
Quando, nel 1876, si scopri che l’atomo (letteralmente “indivisibile” in greco) non era poi così indivisibile, e si poterono finalmente osservare nucleo ed elettroni circostanti grazie a Stoney e Rutherford, ecco che nuovi problemi saltarono fuori.
Secondo le osservazioni e le conoscenze dell’epoca, infatti, non solo questi elettroni sarebbero dovuti cadere sul nucleo, ma nel farlo avrebbero anche dovuto emettere radiazioni elettromagnetiche che, evidentemente, non c’erano.
Nel 1886, Balmer, osservando lo spettro di emissione dell’idrogeno (scomponendo cioè la luce emessa dall’idrogeno incandescente tramite un prisma, come fece Newton con quella solare), osservò che venivano emesse radiazioni solo a frequenze molto precise che seguivano una relazione formata da quadrati di numeri interi, serie che poi (ovviamente), prese il suo nome.
Contemporaneamente, altri simpatici buontemponi come Wien si erano messi a studiare un modello fisico noto come “Corpo Nero”, un’entità astratta alquanto bizzarra.
Un corpo nero è infatti un oggetto astratto che:
-assorbe tutte le radiazioni elettromagnetiche che gli si lanciano contro;
-emette a sua volta radiazioni, ma in maniera unicamente dipendente dalla sua temperatura.
Detto così, sembrerebbe qualcosa di completamente inesistente.
In pratica, è un modello che ricalca bene il funzionamento delle stelle ed è facilmente riproducibile in laboratorio (a temperature molto inferiori) con un forno caldo e schermato, salvo per un buchetto dal quale esce la famosa radiazione elettromagnetica.
Peccato che il modello del tempo per descrivere questo oggetto, cioè il “corpo nero classico”, mostrava un paio di problemi: il primo era che, secondo la teoria del tempo per aumentare la temperatura di un simile oggetto sarebbero state necessarie quantità incredibili di calore, quando invece, nella realtà dei fatti, siamo in grado di raggiungere temperature di migliaia di gradi con tecnologie relativamente antiche (come quelle che permisero, ad esempio, la nascita dell’età del ferro).
Il secondo problema era che le radiazioni emesse da un corpo nero qualunque avrebbero dovuto contenere anche radiazioni elettromagnetiche con energie elevatissime, come i raggi X e gamma in un fenomeno chiamato “catastrofe ultravioletta”: questi tipi di radiazioni, che sappiamo oggi essere pericolose in grandi quantità (non è un caso che si sconsigli di fare molte radiografie durante l’anno), non sono ovviamente emesse dalla maggior parte delle fonti di calore, anzi sono relativamente complesse da produrre artificialmente (mentre, invece, una stella come il sole ne è assolutamente capace ed è solo l’atmosfera che ci protegge da questi raggi).
Un terzo fenomeno ancora incompreso era quello dell’effetto fotoelettrico: l’emissione cioè, da parte dei metalli, di cariche elettriche in maniera fortemente dipendente dal tipo di radiazione elettromagnetica che andava a incidere su di esse (effetto per la spiegazione del quale il buon Einstein guadagnerà il premio nobel nel ‘21).
“Quanti” problemi
Incredibile a dirsi, questi problemi apparentemente diversi tra loro avevano una soluzione comune: quella di immaginare che l’energia (soprattutto quella dei fotoni, le particelle che compongono la luce), fosse QUANTIZZATA, cioè fosse trasferibile solo in dei pacchetti “minimi” in base al tipo di fenomeno.
Sembra un discorso strano, ma possiamo facilmente immaginare un simile meccanismo con le monete.
Io non posso pagare, in italia, prodotti il cui prezzo sia un centesimo e mezzo: posso pagare due centesimi, oppure un centesimo, e non posso mai pagare meno di un centesimo.
Se però vado in inghilterra, non posso mai pagare meno di un penny, che vale… 1,2 centesimi (cioè un centesimo + un quinto di centesimo).
Ecco che fenomeni diversi hanno valori minimi (di energia, nel nostro caso) differenti.
Sempre su penny e centesimi, immaginando un cambio preciso di 1,2 centesimi a penny, io potrò trasformare i penny in centesimi solo se il mio cambio prevede quantità minime e intere di entrambi, cioè 6 centesimi per 5 penny.
Questo processo avviene anche in fisica quantistica: un atomo, ad esempio, emette e assorbe solo radiazioni che hanno un’energia specifica che corrisponde, ad esempio, all’energia delle frequenze osservate da Balmer nell’atomo di idrogeno.
Questo approccio risolveva anche il problema dell’effetto fotoelettrico, immaginando di convertire l’energia delle radiazioni in “spinta” data agli elettroni, e perfino quello della catastrofe ultravioletta, che non appariva perché le energie in gioco non erano sufficienti per generare il “quantitativo minimo” di raggi X e gamma.
Ok, funziona, ma le ALTRE cose?
La fisica quantistica si è imposta per due buoni motivi: spiega bene i fenomeni precedentemente ignoti e non cozza con quelli precedentemente noti.
Un altro importante traguardo di questa teoria, infatti, è il cosiddetto “limite classico”, l’idea cioè che, osservando il mondo macroscopico, i quanti di energia siano così piccoli che i nostri sensi e strumenti comuni non sono in grado di distinguerli da un processo “continuo”.
Sarebbe come dire che, quando uno fa un acquisto grosso, non sta a guardare il centesimo di differenza.
Questo approccio salva la fisica classica per le cose di tutti i giorni (con somma soddisfazione degli ingegneri che possono creare macchine e progettare palazzi senza impazzire) e permette anche di spiegare tutta una serie di fenomeni prima incomprensibili.
Ma cosa ha a che vedere la quantizzazione dell’energia con i computer quantistici, l’entanglement e tanti altri fenomeni quantomeno affascinanti? Lo scopriremo nel prossimo articolo…
LETTURE:
Niccolò Guicciardini, Gianluca Introzzi, Fisica quantistica. Una introduzione. Ed. Carocci.