redazione
Federico Mugnai chiarisce con adeguata e puntigliosa analisi alcune differenze e similitudini fra nazismo e fascismo. Così facendo suggerisce un percorso di autentica imparzialità nel valutare la storia del pensiero politico e dei fatti che ne scaturirono.
Fascismo e nazismo sono spesso accomunati nell’immaginario collettivo come le due ideologie che portarono il mondo intero alla tragedia collettiva della seconda guerra mondiale. Quindi è difficile in un certo senso separarli, vederli come entità singole, ma nasce quasi l’esigenza di unirli nel termine comune “nazifascismo”. E’ vero, questo termine viene utilizzato per tratteggiare un periodo, quello cioè del 1943-45 con la costituzione della Repubblica sociale italiana che vede il fascismo italiano subordinato totalmente alle volontà della Germania nazista. Spesso però si crede che il termine “nazifascismo” sia anche espressione da utilizzare per rendere chiaro quanto fosse inscindibile il legame tra le due ideologie, tantoché alcuni pensano che le differenze tra nazismo e fascismo siano più trascurabili rispetto alle profonde affinità. Vedremo in questo articolo come i punti in comune siano numerosi e di notevole importanza, anche se le differenze, seppur numericamente inferiori siano sostanziali e vadano a riguardare la centralità delle rispettive ideologie. Nascono entrambi con la fine della Prima guerra mondiale, la crisi delle democrazie liberali e come risposta alla minaccia bolscevica. E fanno loro un certo modo di interpretare la vita che è una risposta antitetica al razionalismo e all’illuminismo. Danno voce alle passioni nascoste del corpo, a quell’energia inebriante che fuoriesce dalle viscere dell’uomo, così ben evidenziato da Nietzsche e Freud. Come afferma Johann Chapoutot “questi autori hanno contribuito ad accreditare l’idea che la ragione, fondamento orgoglioso dell’antropologia e della politica dell’Illuminismo, non è niente al cospetto di altre forze ben diversamente potenti. La ragione non può nulla contro il radicamento di un individuo nella sua terra e nei suoi morti….il sangue e la carne comandano, l’intelligenza obbedisce.” Dinanzi alla complessità di una realtà mutevole in cui le masse sono entrate dal XIX secolo in poi nell’agone sociale e politico, lo Stato liberale dimostra tutta la sua incapacità di rispondere alle esigenze del proletariato da una parte, ma anche e soprattutto di quei ceti medi produttivi che dovrebbe rappresentare. Il singolo individuo ed i suoi diritti perdono gradualmente la loro forza propulsiva e ci si rende conto che si può trovare la propria dimensione abbandonando il razionalismo, trovando sicurezza e stabilità in movimenti che danno voce allo spirito comunitario, a quelle pulsioni irrazionali che lo travolgono e lo conquistano. L’esperienza della guerra accresce l’emergere di queste passioni incontrollate, perché la morte diventa un’abitudine concreta e la violenza qualcosa di necessario per affermare sé stessi. E soprattutto “il trincerismo” costituisce per molti sopravvissuti un’esperienza inedita di legame comunitario e nazionale. La fraternità delle armi sta proprio nella condivisione dell’orrore e delle avversità. E così quando si ritorna alla vita civile dopo aver combattuto per anni e magari ci si trova disoccupati, avendo perso la guerra (come la Germania) oppure avendola vinta (come l’Italia), ma in realtà senza ottenere rilevanti guadagni territoriali, tutto ciò indurrà molti ad avere nostalgia della guerra, a celebrarla ad ogni costo e ad avere il segreto desiderio un giorno di riviverla per vendicarsi di un esito in fondo non accettato. Alla fine la costruzione dei partiti nazionalisti e fascisti, fu anche un modo per ritrovare quella comunità di combattimento, quel legame cameratesco che scongiurava la solitudine esistenziale. Da qui emerge quell’amore viscerale per la guerra e per la violenza. La guerra come vera e propria rivoluzione in cui i più forti sopravvivono, mentre i più deboli soccombono, in cui si tempra e fortifica il carattere nazionale, dove l’eroismo e lo spirito di sacrificio danno risalto alle virtù dei popoli. Ed in cui i caduti della patria diventano gli eroi da celebrare e glorificare, creando quella “nazionalizzazione delle masse” (per dirla come Mosse) emersa all’inizio del XIX secolo ed esplosa in tutta la sua virulenza con il fascismo. In questa apologia della guerra fascismo e nazismo vanno a braccetto, perché vedono nella guerra quello scontro tra civiltà, tra sistemi di potere ed ideologie che è alla base della loro ragione di essere: la ricerca di nemici esterni per rafforzare la propria identità. L’uso della violenza viene legittimato e incoraggiato, perché è con la violenza che si combattono le battaglie politiche, in cui si mettono a tacere coloro che si ritengono nemici ideologici. E dal 1917 c’è un nuovo nemico, questa volta interno, che i movimenti nazionalisti combattono apertamente: il bolscevismo. Sia per il fascismo che per il nazismo, la minaccia bolscevica sarà sempre uno spauracchio da agitare in qualsiasi momento. Per il comunismo i nemici non sono le nazioni straniere, ma la borghesia, gli agrari e tutte le classi che sfruttano il proletariato. Occorre quindi una lotta interna, la lotta di classe per arrivare al raggiungimento di una società egualitaria in cui lo Stato ha il predominio su tutto, in cui l’iniziativa e la proprietà privata non esistono più. Nazismo e fascismo, sebbene movimenti collettivisti, in cui lo Stato gioca un ruolo predominante, credono nell’armonia delle classi, nella pace sociale, in quell’interclassismo e corporativismo che tende ad unire le energie nazionali e rivolgere le proprie ostilità, non in nemici interni, ma in nemici esterni. In questo senso si può dire che fascismo e nazismo hanno tentato (senza successo o comunque a discapito dei diritti fondamentali dei più) una terza via tra capitalismo e comunismo.
Ovviamente combattono con tutte le loro forze quelle pulsioni internazionaliste e materialiste comuniste che vanno a minare il nazionalismo ed il carattere spirituale e mistico, aspetti predominanti dei fascismi. Ma con la stessa virulenza i fascismi si scontrano anche contro il capitalismo, specialmente dopo la grande depressione del 29’. Le eccessive libertà economiche portano con sé enormi disuguaglianze e le crisi economiche non fanno altro che rendere questo divario tra ricchi e poveri ancora più marcato. E’ in questo clima che i collettivismi di destra e sinistra trovano terreno fertile e dominano la scena politica. I vecchi partiti liberali e democratici, ritenuti responsabili della crisi economica del dopoguerra, incapaci ed inetti a dare risposte concrete al Paese e spesso considerati troppo vecchi per capire i cambiamenti sociali in atto, vengono additati come “nemici del popolo”. Il succedersi di numerosi Governi, deboli e spesso nati da alleanze parlamentari a volte discutibili, danno la sensazione che il parlamentarismo sia qualcosa di obsoleto e dannoso e che occorra un uomo forte, un Capo carismatico e giudicato infallibile a governare il Paese. L’esaltazione della giovinezza e del coraggio sono tutti aspetti che nel fascismo trovano una dimensione concreta, in netto antagonismo con le paure e l’aspetto vetusto e logoro dei principali rappresentanti politici del tempo (pensiamo a Giolitti, ma anche a Nitti ed Orlando). E’ in questo clima turbolento e drammatico che le elité politiche, economiche e finanziarie si lasciano sedurre dai fascismi, spesso con un pizzico di sospetto e diffidenza, ma pur sempre con la speranza di poterli costituzionalizzare ed “ammorbidire”. La storia ci dirà che non sarà così, che la marcia verso la dittatura prima e l’aspirazione totalitaria poi, condurrà Italia e Germania verso la catastrofe. Dicevamo prima dell’importanza del Duce e Fuhrer nel fascismo e nel nazismo, perché è nella celebrazione del Capo, nel riconoscimento della sua infallibilità e nella forza della sua volontà che tutta la massa e quindi la Nazione si riconosce, creando quel collettivo e quell’euforia generalizzata e spesso irrazionale che si può riscontrare nei discorsi pubblici dei due dittatori. Ed oltre all’esaltazione del Capo, fascismo e nazismo hanno l’ambizione di creare una vera e propria religione secolare, con i suoi miti, i suoi rituali, gli inni, ma soprattutto i propri comandamenti cui tutti devono credere ed obbedire. L’ideologia totalitaria ha una visione d’insieme del mondo, riunisce la comunità, rasserena e promette e per questo ha una funzione religiosa e messianica. Entrambi hanno la volontà di rigenerare l’uomo, dare vita ad una nuova umanità, perché l’uomo contemporaneo è decadente, debole e privo di slancio vitale. Ma qui si riscontra una differenza sostanziale tra i due movimenti: mentre il fascismo aspira a creare un uomo nuovo, il fascista, i nazisti vogliono restaurare un’epoca passata. Nel fascismo non c’è nessuna nostalgia e voglia di restaurare l’archetipo di un uomo del passato, nemmeno tornando indietro ai fasti della romanità. E’ vero, il mito della romanità è importante nel fascismo, ma se ne prende sempre atto come qualcosa di morto, cui ispirarsi per grandezza di fine, ma mai come qualcosa da restaurare e rendere attuale. Nel fascismo è viva l’idea di progresso e divenire ed infatti l’uomo nuovo si pone come baluardo della rivoluzione, come vero e proprio zenit cui aspirare. Nel nazismo è diverso: non si parla mai di uomo nuovo, ma della volontà di tornare alla grandezza e alla centralità dell’uomo tedesco del passato. E mentre il fascismo nelle sue riviste giovanili fa emergere un certo ottimismo per il futuro, un certo vitalismo, nel nazismo emerge per dirla come De Felice, un “pessimismo tragico”, una certa angoscia per la decadenza della civiltà occidentale. Tutti aspetti, a dire la verità, che riemergeranno anche al crepuscolo del fascismo italiano e cioè nel periodo della Repubblica sociale italiana, in cui l’esaltazione della “bella morte” e di un esistenzialismo tragico saranno evidenti anche in certe pubblicazioni e canzoni. La decadenza della civiltà per il nazismo è dovuta principalmente alla mescolanza razziale che porta ad un declino della cultura e del valore nazionali, culminante nell’estinzione della razza. La questione razziale in Germania aveva trovato vasta eco a cavallo tra XIX e XX secolo grazie a Gobineau e Chamberlain e a studi antropologici che confermavano l’esistenza di specifiche razze umane. La destra tedesca nel tempo aveva assunto sempre più posizioni razziste, facendo proprio un certo darwinismo sociale: le razze ritenute inferiori dovevano soccombere e far posto all’emergere della razza ariana, per ritrovare quella purezza razziale che avrebbe restituito al mondo i fasti della vecchia Germania. Gli ebrei furono il capro espiatorio di questi folli convincimenti: ritenuti dapprima i responsabili della disfatta della Prima guerra mondiale, poi accusati di aver favorito l’ascesa al potere del bolscevismo in Russia ed infine di essersi arricchiti a spese del popolo con la Grande depressione. Gli ebrei erano anche giudicati diversi dal punto di vista fisco, spesso tratteggiati con caricature esasperate e false, eppure questa apparente diversità spaventava i nazisti, perché minava l’identità ariana. Nel nazismo l’antisemitismo ed il razzismo, sono elementi centrali nell’azione politica e, si può dire senza errore, che sono leve fondamentali per assumere il potere. Questa cosa non si può certo dire per il fascismo. Il fascismo arriva al potere, spesso con il consenso tacito o manifesto di una buona fetta di ebrei italiani, anche se il numero di ebrei in Italia era talmente esiguo, che questo contributo è quasi irrilevante. L’antisemitismo trova comunque spazio solo nel tardo 1938, 16 anni dopo la presa del potere, con tanti gerarchi di primo piano (pensiamo a Balbo, Bottai, Grandi e De Bono, etc..) apertamente contrari alla politica razziale. Le leggi razziali italiane, pur nella loro vergognosa brutalità, appaiono strumentali e quasi ritenute un corpo estraneo alla politica del Regime. Saranno molti i fascisti comuni che aiuteranno concretamente gli ebrei, soprattutto durante la guerra. Solo il nazismo fa dell’antisemitismo la sua ragione primaria di vita ed è solo con questa cieca follia che arriva a pensare ed addirittura mettere in pratica lo sterminio degli ebrei. Il fascismo, un piano di sterminio degli ebrei non lo fa e non lo pensa nemmeno, proprio perché non è centrale alla sua politica, se non ad alcuni suoi componenti estremisti (basti pensare a Farinacci e Preziosi su tutti).
Ci sarebbero ancora tanti aspetti da prendere in esame per far emergere analogie e differenze tra fascismo e nazismo, così come mi rendo conto, che i numerosi temi trattati meriterebbero un’analisi più approfondita. Il problema di spazio in un articolo di carattere storico è tale che penso di aver trovato una misura equa tra temi trattati e lunghezza del testo.
letture:
- Renzo De Felice – Intervista sul fascismo
- George Mosse – Le origini culturali del Terzo Reich
- Johann Chapoutot – Controllare e distruggere. Fascismo, nazismo e regimi autoritari in Europa
Salve,
articolo molto interessante. Mi ha fatto piacere leggere questo, anche perchè a scuola (sono insegnate) sento tanti studenti (e insegnanti) che parlano come se non ci fosse nessuna differenza tra fascismo e nazismo. Per non menzionare gli altri Paesi, dove le parole fascismo e nazismo sono usate in maniera intercambiabile quando non fuse in una parola sola. Non che io difenda il fascismo, ma non è storicamente accurato presentarlo come indistinguibile dal nazismo.
Grazie ancora..