Redazione
L’importanza dei musei scientifici e un certo qual ritardo delle istituzioni italiane nel coglierne le enormi potenzialità culturali e didattiche. Musei naturalistici come “solido ponte fra la cultura scientifica e quella umanistica”. Dal suo osservatorio privilegiato, l’amico Fausto Barbagli ci offre un’analisi sintetica del suo pensiero in proposito, cogliendo in pieno gli obbiettivi culturali de Il Talamo.
La mela di Newton, la muffa di Fleming, i fringuelli di Darwin, sono modi di dire proverbiali che evocano oggetti che hanno determinato grandi scoperte e pertanto il loro ricordo diventa l’emblema della scoperta stessa, se non addirittura del colpo di genio in senso lato. Tuttavia tali espressioni fanno riferimento a oggetti realmente esistiti e, se la mela di Newton non arricchisce alcuna collezione pomologica e la muffa di Fleming non è stata preservata in alcun vetrino da microscopia, i fringuelli di Darwin si conservano tutt’oggi in un museo naturalistico inglese, così come si trovano in musei scientifici italiani l’occhialino di Galileo, col quale il grande scienziato compì le scoperte celesti, e i minerali di Stenone, che servirono al danese per anticipare la prima legge della cristallografia.
I musei scientifici contengono molto spesso veri e propri cimeli che rievocano grandi scoperte e formulazioni di importanti teorie, contribuendo a dare loro concretezza attraverso una testimonianza materiale. Talvolta gli ambiti travalicano le discipline come nel caso di una piccola collezione di lepidotteri del Museo Regionale di Scienze Naturali di Torino, appartenuti al poeta Guido Gozzano e che ispirò lui il celebre poemetto “Le Farfalle”, o i reperti, con varia collocazione, donati da Papi, Re e personaggi famosi di ogni ambito. Non mancano poi opere ascrivibili alle arti plastiche e figurative come modelli anatomici e biologici, realizzati in cera o in altri materiali, e le raffigurazioni pittoriche e grafiche di campioni naturalistici, talvolta riconducibili ad artisti di grande rilievo.
Molti degli oggetti dei nostri musei, quindi, portano in sé, oltre al dato scientifico, informazioni relative, non solo all’evoluzione della disciplina che si occupa di loro, ma anche alla storia locale, civile, politica, economica, sociale, sia del momento in cui sono stati raccolti, sia di tutto il periodo in cui sono stati conservati.
Non va poi dimenticato il ruolo primario dei musei naturalistici, che è quello di veri e propri archivi della biodiversità e il valore scientifico dei reperti con i loro numerosi utilizzi che, in virtù delle molteplici chiavi di lettura, possono esserne fatti nelle attività di ricerca, pura o applicata. Le potenzialità di indagine scientifica su un singolo reperto variano infatti a seconda del dettaglio dell’informazione che ne circostanzia la raccolta. È grazie a tali oggetti che è possibile la didattica e l’educazione alle scienze naturali in quella modalità esperienziale che solo i musei possono offrire.
Nonostante tutto ciò, i musei scientifici nel nostro Paese sono da molti considerati istituzioni di secondo piano, in base a una incomprensibile quanto infondata gerarchia culturale che tende a mettere l’arte e la storia su un piano diverso dalle scienze e che attribuisce alla storia naturale un’etichetta di disciplina per ragazzi, come se la formazione culturale dei più giovani fosse meno importante di quella degli adulti.
Dimostrazione di questa mentalità è anche il fatto che l’inclusione delle collezioni scientifico naturalistiche tra quelle poste sotto la tutela e la regolamentazione del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio, entrato in vigore nel 2004, non è dipesa dalla piena presa di coscienza del loro ampio significato, ma dal passaggio dal concetto aristocratico di “belle arti” a quello democratico di “beni culturali”, che non comprende solo i prodotti delle arti tradizionali, ma anche tutte le manifestazioni aventi valore di civiltà1. Tale scarsa attenzione verso i beni scientifici comporta una ridotta efficacia della tutela nei loro confronti, anche a causa della mancanza di competenze professionali specifiche all’interno delle strutture e degli organi deputati all’attuazione della normativa.
A dispetto di questo i musei scientifici sono stati i primi a sviluppare attività didattico educative e a essere sempre più aperti e inclusivi nei confronti della società, avviando una rivoluzione culturale che sta interessando tutta la museologia.
L’origine dei nostri musei scientifici può essere fatta risalire al rinascimento, con le wunderkammern, gli studioli, i gabinetti delle curiosità e i musei cartacei, ma è alla fine del XVIII secolo che prendono forma e assumono il taglio attuale, sulla scorta delle idee illuministe. Emblematico di questa tendenza è l’I. R. Museo di Fisica e Storia Naturale di Firenze fondato dal Granduca Pietro Leopoldo di Lorena e aperto al pubblico nel 1775, nel contesto di un progetto di acculturamento popolare2. L’operazione non era scevra di significati simbolici e di autoesaltazione, dal momento che si ispirava al modello utopistico della “Nuova Atlantide” di Francesco Bacone, e così, se il Museo rappresentava la Casa di Salomone (ossia il luogo di custodia delle testimonianze del sapere), seguendo lo stesso procedimento logico,
la gestione lorenese dello Stato era identificabile col Buon Governo.
Il modello culturale alla base del progetto pietroleopoldino era quello enciclopedico e consisteva nel far sì che attraverso l’esposizione di un gran numero di reperti venisse reso manifesto il sistema della natura, in modo da consentire l’autoapprendimento del pubblico senza alcuna forma di mediazione culturale. Più o meno degli stessi anni è la nascita o la riorganizzazione di musei di storia naturale nell’ambito degli Atenei italiani, per lo più in concomitanza con le riforme degli studi che in momenti diversi vennero intraprese.
L’Ottocento rappresenta invece il momento del fiorire di molti musei civici che hanno avuto per lungo tempo il merito di mantenere viva la cultura scientifica nelle città dove tale ruolo non fosse portato avanti dalle Università. Così Milano riconquistò un ruolo di primo piano con il Museo di Storia Naturale nato dalle collezioni di De Cristoforis e Jan, Verona raccolse l’antica tradizione collezionistica di Francesco Calzolari e Lodovico Moscardo e Genova, grazie a Giacomo Doria, vide la nascita di un Museo di Storia Naturale che fruttò all’Italia il merito di aver esplorato e scientificamente descritto, come nessun altro, estese aree della Papuasia e del Sud America, per le quali le collezioni genovesi rivestono tutt’oggi un’importanza unica. Sebbene oggi in Italia non esista un grande museo nazionale di storia naturale sul modello di quelli di Londra, Parigi, Vienna e Madrid, nati in un periodo antecedente la nostra Unità politica, vi sono almeno una dozzina di istituzioni le cui collezioni, sia pure limitate nelle dimensioni, annoverano materiale di rilevanza internazionale dal punto di vista storico scientifico. Tale situazione ha il suo equivalente anche in campo artistico dove la National Gallery, il Louvre, il Kunsthistorisches Museum e il Prado, trovano il loro equivalente in Italia in ognuno dei musei di Firenze, Roma, Napoli, Venezia, Torino, capoluoghi degli stati preunitari. I regnanti del Granducato di Toscana, dello Stato pontificio, del Regno delle due Sicilie, del Lombardo-Veneto e del Regno di Sardegna, davano infatti ai loro musei la stessa importanza che era data loro dalle grandi potenze europee, in quanto le collezioni di arte e scienza rappresentavano fondamentali prerogative di prestigio nazionale.
In un articolo del 2008 dal titolo “Scientific Travels and the Wealth of Nations”, Giovanni Pinna ha ben evidenziato come le collezioni e i musei siano da sempre state uno strumento per affermare l’autorevolezza delle nazioni e abbiano rappresentato il segno tangibile della capacità di possedere intellettualmente luoghi lontani3.
“Nobili palazzi, magnifiche ville, grandi collezioni di libri, di statue, di pitture e di altri oggetti di curiosità sono spesso un ornamento e un onore non solamente dei luoghi ove si trovano, ma ancora dell’intero Paese cui appartengono: Versailles è un ornamento ed un onore alla Francia, Stowe e Wilton per l’Inghilterra”. Così scriveva il celebre economista Adam Smith nel suo celebre trattato “Ricerche sopra la natura e le cause della ricchezza delle nazioni”, dimostrando di aver chiare le esternalità positive e il valore aggiunto degli investimenti in materia di cultura.
Smith proseguiva poi, parlando del nostro Paese (siamo nel 1776) in una maniera in cui non vorremmo riconoscere alcun elemento di attualità: “L’Italia attira ancora in qualche modo i rispetti del mondo per la moltitudine di monumenti di questo genere che possiede, sebbene l’opulenza che li ha generati sia decaduta e che il genio che li ha creati sembri del tutto estinto”4. Non resta che sperare che in Italia l’affermazione dell’autorevolezza dello Stato torni a basarsi sulla cultura e a passare attraverso i nostri musei che costituiscono il più solido ponte fra la cultura scientifica e quella umanistica, troppo a lungo tenute caparbiamente separate.
Articolo già pubblicato negli Atti del bicentenario museo zoologico 1813-2013 a cura di: M.C. del Re, R. Del Monte e M.R. Ghiara Realizzazione Editoriale Centro Musei delle Scienze Naturali e Fisiche pag. 106-109.
Letture
- Barbagli F. (2010). Il significato sociale e culturale delle collezioni naturalistiche: una breve introduzione. Museologia scientifica. Memorie, 6, 119-121.
- Contardi S. (2002). La casa di Salomone a Firenze. L’Imperiale e Regio Museo di Fisica e Storia Naturale (1775-1801). Firenze, Olshki.
- Pinna G. (2008). Scientific Travels and the Wealth of Nations. In Scientific exploration in the Mediterranean region. Cultures and institutions of natural history, essays in the history and philosophy of science, Corti C., Barbagli F., Ghiselin M.T., Leviton A.E. (eds.). Proceedings of the California Academy of Sciences, (FourthSeries) 59 (suppl. I), 207-216.
- Smith A. (1776). An Inquiry into the Nature and Causes of the Wealth of Nations. London, W. Straman and T. Cadeli.