Redazione
L’uomo indaga la propria natura da quando la coscienza gli ha permesso di essere consapevole di sé stesso. Allo stato attuale la filosofia, la psicologia, le neuroscienze ed altre discipline ci permettono di rispondere con maggiore cognizione all’eterna domanda: chi siamo. Ma secoli fa gli strumenti a disposizione erano limitati e la musica fu fra questi uno dei più preziosi. Questa conversazione con la Maestra Anna Seggi ed il Coro Vocinsieme vuol essere il tentativo di analizzare le emozioni che fluiscono quando si esegue e si ascolta un canto gregoriano.
Il canto gregoriano è la quintessenza della musica perché sposta il baricentro dal “fare musica” all’ascolto. Alla fine di ogni brano il silenzio si porta via tutto: la musica è effimera perché vive solo nel momento in cui viene eseguita. È per questo che si porta via tutto, tranne quello che ti ha lasciato dentro, tranne quello che ti ha mosso interiormente.
La musica è un’occasione fondamentale per indagare la natura umana e il canto gregoriano, collocato in una prospettiva storica in cui la fede era al centro della riflessione dell’uomo, è uno strumento straordinario per riflettere sui sentimenti di trascendenza. A tal proposito il gregorianista Giacomo Baroffio scrive: “Nel mondo liturgico la musica si colloca a livello di obbedienza nella fede: Dio crede nell’uomo e gli comunica la sua parola, l’uomo crede in Dio e si pone in ascolto, il canto così diviene incontro”.
Nel canto gregoriano esistono otto modi che sono una specie di scale musicali, ognuna della quale invita ad un ambiente meditativo particolare, ad un certo clima interiore. Le definizioni che utilizziamo oggi sono nate alla fine del percorso creativo intorno all’Ottocento più per ordini di tipo pratico che per necessità teoriche. L’insieme degli otto modi è racchiuso nella teoria dell’Octoechos.
Il primo modo detto autentico o dorico rientra in una modalità più ampia che prende il nome di protus (cioè il primo). È più ampia perché contiene al suo interno il modo protus autentico (primo modo) e quello plagale (secondo modo), che in greco significa “obliquo”. Si può fare un parallelismo, in verità improprio, fra la nostra scala maggiore che contiene al suo interno la relativa scala minore. Le scale antiche, come quelle moderne avevano due centri polari: la prima nota e la quinta. Anticamente la prima nota, essendo frequentemente uguale all’ultima, veniva chiamata finalis, che è un Re, e la quinta tènor, che è un La. Oggi queste due note prendono il nome rispettivamente di tonica e dominante.
Nei modi autentici il tènor dista cinque note dalla finalis, in quelli plagali varia ma di solito copre una distanza minore, il che conferisce uno slancio melodicamente più ampio ai primi e più dimesso e ristretto ai secondi.
Il primo modo prima di tutto “cerca il regno di Dio”. Questa modalità esprime maturità e sobrietà. Il senso di pietas è depurato da ogni leziosità. Il sentimento che viene vissuto è più rivolto all’introspezione che al contenuto della riflessione. È un modo, per così dire, tendenzialmente “maschile”.