Omosessualità e fascismo

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Omosessualità e fascismo
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Redazione

Federico Mugnai ci porta nel ventre, retrogrado e pieno di pregiudizi, del pensiero e della società del ventennio dove ogni diversità ed in particolare l’omosessualità subirono intolleranza e persino violenza.

Il libro “Il nemico dell’uomo nuovo – l’omosessualità nell’esperimento totalitario fascista” di Lorenzo Benadusi offre importanti spunti per riflettere su come fosse difficile ed anche doloroso vivere l’omosessualità in un periodo così complesso ed in certo modo tragico come quello del ventennio fascista. Per questo motivo mi sono permesso di farne un riassunto a beneficio del lettore, nel tentativo di offrire un affresco storico ben definito e soprattutto cercando di dare risalto agli aspetti morali e sociologici deteriori che l’omosessualità ha suscitato in seno alla società italiana sotto il fascismo.

Va detto innanzitutto che ancora oggi persistono dei pregiudizi nei confronti degli omosessuali e non mancano sacche di intolleranza. Affiorano infatti le resistenze della Chiesa, di certi partiti politici e di conseguenti strati della società, che ancora considerano gli omosessuali dei deviati, dei malati da guarire. Dal punto di vista dei diritti di gay e lesbiche si sono fatti dei passi in avanti considerevoli ed altri ancora dovrebbero esserne fatti se si vuole davvero un’eguaglianza effettiva, che trascenda le scelte ed i gusti personali.  Come già detto, durante il fascismo l’intolleranza nei confronti dell’omosessualità raggiunse forse l’apice, anche se va detto che la situazione non era rosea nemmeno nelle grandi democrazie. Se nell’Ottocento si era imposto la figura dell’uomo romantico, con tratti femminei ad evocare la sensibilità e la gentilezza, con la fine del XIX secolo e più ancora con lo scoppio della Prima guerra mondiale, emerge con sempre maggiore forza l’immagine dell’uomo virile, forte, coraggioso, rivoluzionario e dominatore nei confronti delle donne. La distinzione dei sessi doveva essere netta e marcata: all’uomo virile si contrapponeva la donna mansueta e totalmente asservita al volere dell’uomo. La differenziazione sessuale doveva essere mantenuta e rafforzata a tutti i costi se si desiderava che la nazione continuasse a fiorire. Più differenziazione voleva dire relazioni più stabili tra uomini e donne, più figli e maggior pace sociale. Se le differenze tra sessi sfumavano si aveva il terrore che la società affogasse nel caos e che questo caos generasse una spirale negativa che andava a minare l’identità stessa della nazione. Ed è per questo che l’omosessualità rappresentava la minaccia più grande a questo ordine precostituito. Non furono pochi gli studi scientifici che avallavano e promuovevano simili idee che alla fine erano fatte proprie dalla società e dalla Chiesa. E per la Chiesa l’omosessualità era un atto commesso contro l’ordine divino e contro natura. L’uomo doveva desiderare la donna e la donna l’uomo, perché questo era il volere di Dio. Andare contro il volere divino costituiva un peccato mortale, una devianza demoniaca che minacciava l’ordine sociale e clericale. Vi era poi chi sosteneva che i periodi di decadenza morale nella vita di una nazione coincidevano con l’emergere dell’effeminatezza, della sensualità e della lussuria. Gli omosessuali erano infatti considerati gli archetipi della decadenza, anche perché nell’immaginario collettivo venivano rappresentati come delle persone che sessualmente non si sapevano contenere. Emerse così il concetto di degenerazione sessuale in antitesi a quello di virilità. Si pensava che l’omosessualità si diffondesse non tanto per una questione biologica individuale, per una scelta consapevole e legittima, dettata dai propri desideri e dalle proprie pulsioni, ma da una degenerazione e malattia insita nella società.  Anche Freud affermava che la libertà di oscillare tra oggetti maschili e femminili era “normale” nell’infanzia, mentre l’omosessualità maschile o femminile nella vita adulta rappresentava una regressione. Se nel primo Ottocento l’omosessualità era considerato un argomento tabù, con l’emergere del positivismo e la nascita della sessuologia, la sessualità da fatto privato diventa tema di interesse pubblico e viene quindi studiato in vari ambiti: antropologia, psichiatria, scienza in genere. Il medico ed antropologo Cesare Lombroso affermava che l’omosessualità manifesta tratti caratteristici ben definiti. Si erano stilati dei segni esteriori che potevano rivelare chi fosse o meno omosessuale: gli occhi arrossati, la spossatezza, gli accessi di depressione e la trascuratezza dell’aspetto personale. Si arrivò infine a sostenere che la masturbazione portava all’omosessualità. In molti fecero proprio una correlazione tra masturbazione ed omosessualità, pratiche attribuite entrambe a cattivi pensieri e a disturbi nervosi. Gli omosessuali andavano studiati nei loro comportamenti per saperli individuare meglio e distinguere i soggetti sani da quelli anormali. E gli omosessuali erano inseriti nella categoria degli anormali, perché considerati degenerati ed affetti da una tara genetica che affiorava nei comportamenti e nei segni esteriori. Si stabiliva con il tempo una correlazione tra sessualità e razzismo: gli omosessuali erano considerati una razza a parte, quasi fossero ritenuti dei corpi estranei o peggio ancora dei degenerati all’interno della società. L’omosessuale veniva identificato quasi esclusivamente con l’effemminato e chi assumeva nel rapporto sessuale un ruolo passivo: in questo caso il disprezzo e lo scherno assumevano il massimo risalto. Era spesso più tollerato ed in parte compreso chi nel rapporto omosessuale risultava attivo, perché comunque, attraverso l’atto sessuale, riemergevano aspetti virili quali il dominio e la sottomissione rispetto al partner. Negli anni venti, furono eseguiti alcuni esperimenti endocrinologici promossi dal chirurgo di origine russa, Serge Voronoff, consistenti nel sostituire i testicoli di alcuni omosessuali con quelli delle scimmie. I trapianti dovevano servire per guarire e curare gli omosessuali, rendendoli finalmente virili ed energici. Il fascismo fece proprie tutte queste teorie e le amplificò, portandole alle estreme conseguenze. Gli omosessuali erano considerati inferiori moralmente, psichicamente e fisicamente. A differenza però del periodo storico precedente, il fascismo decise di porre sotto silenzio qualsiasi dibattito scientifico o culturale riguardante l’omosessualità. Si pensava che meno si parlava dell’omosessualità, meno questa si sarebbe diffusa. E quando se ne parlava, lo si faceva per mettere a tacere o screditare avversari politici o nemici interni al regime. Dal punto di vista giuridico, con l’entrata in vigore del Codice Rocco nel 1930, si decise, dopo acceso dibattito, di non inserire l’omosessualità come reato. La decisone fu presa, proprio per non dare troppa importanza e consistenza al fenomeno. Un’ipocrisia di fondo che però si scontrava con l’intento persecutorio dello Stato nei confronti degli omosessuali, attraverso l’uso massiccio delle intercettazioni, delle delazioni e dell’uso sistematico della polizia segreta. Erano tre i possibili sbocchi per tentare di “rieducare e guarire” gli omosessuali, spesso privati della libertà per oltraggio al pudore, prostituzione maschile o comunque reati simili: il confino, il carcere o il manicomio. Coloro che finirono al confino nelle varie isole preposte all’uso, furono un numero limitato di soggetti, proprio perché il confino era in genere misura destinata specialmente agli antifascisti. Il carcere era un altro strumento utilizzato per reprimere l’omosessualità, anche se induceva preoccupazioni, perché si temeva il dilagare di pratiche omosessuali al suo interno. Il problema era emerso ed aveva trovato forte eco con il romanzo “Galera” di Tullio Murri, in cui un giovane detenuto subisce continui soprusi e violenze carnali, fino a morire. Si iniziò a pensare che gli omosessuali in carcere avrebbero con il tempo “contagiato” gli altri detenuti, ed il fatto della convivenza forzata e duratura, sarebbe sfociata in continui atti sodomitici, causando così un pervertimento dei carcerati eterosessuali. Per il fascismo il carcere doveva essere il luogo ed il mezzo per guarire l’omosessualità e non per favorirne lo sviluppo. Per questo, con il passare del tempo, per reprimere l’omosessualità, si preferì la terza ed ancora più grave opzione e cioè il manicomio. In questi casi, l’omosessuale veniva schedato come soggetto deviante, incapace di intendere e volere, affetto da “nevrosi sessuale” o “psicodegenerazione”. E soprattutto emerse sempre più chiaro l’intento del fascismo di far combaciare l’omosessuale come essere allo stesso tempo “pazzo e criminale”. Venivano quindi considerati capaci di commettere qualsiasi delitto, anche e soprattutto a causa del loro orientamento sessuale e quindi il manicomio era considerata una forma di prevenzione e di tutela dell’ordine sociale. Si tentava di guarire l’omosessualità con l’ipnosi e con un’opera persuasiva, una “cura morale”, imponendo stili di vita precostituiti e un indottrinamento continuo e sfiancante.

Un altro aspetto da non trascurare è l’uso politico dell’omosessualità, il tentativo durante il Ventennio di screditare nemici politici od avversari interni al fascismo. L’accusa di omosessualità poteva essere tanto infamante da portare alle dimissioni o all’allontanamento di colui che veniva accusato. Tra i tanti casi, basti ricordare forse quello che suscitò maggior scalpore, quello cioè di Augusto Turati, importante gerarca fascista, segretario del PNF dal 1926 al 1930. A causa di un carteggio privato di Turati con una donna, in cui lo stesso chiedeva che gli fosse procurato “il maschietto”, cioè una giovane ragazza così soprannominata per il taglio corto dei suoi capelli, finito nelle mani di Farinacci, suo rivale politico, facente parte dell’ala intransigente del partito, si aprì una campagna denigratoria in cui Turati fu accusato di pederastia. Si dovette dimettere da direttore della Stampa e poco dopo fu costretto al confino a Rodi in Grecia, potendo tornare in Italia solo nel 1937, costretto a vivere nell’ombra, ormai irrimediabilmente compromesso politicamente. Non mancavano comunque altre accuse di omosessualità tra gerarchi minori, nelle più svariate città italiane.

In definitiva l’omosessualità durante il fascismo era intesa come assenza di virilità e ciò costituiva un problema da correggere. L’uomo nuovo, il fascista, l’uomo cioè guerriero, coraggioso, forte ed energico, non poteva accettare l’esistenza dell’omosessuale, così diverso nell’immaginazione dei fascisti. In un regime che ambiva ad essere totalitario, tutto ciò che si differenziava dalla cieca identità prestabilita, risultava estraneo e perciò andava combattuto e corretto. Per “fortuna” non si arrivò mai alla liquidazione fisica degli omosessuali come avvenne invece nella Germania nazista, anche se, come abbiamo visto, l’azione repressiva fascista nei loro confronti, fu feroce. Essere omosessuali all’epoca doveva risultare difficile e doloroso e soprattutto si può comprendere l’ansia e la paura che emergono in tutta la loro dirompenza in alcune testimonianze pervenute. Peggio ancora andava alle lesbiche: il lesbismo non era ritenuta una devianza sessuale, era solo considerata una forma di pazzia o un segno del demonio. Per questo la repressione nei loro confronti era ancora più subdola e feroce e spesso si tentava di guarirle attraverso l’esorcismo o comunque pratiche esoteriche. Probabilmente omosessuali si nasce e, in buona parte dei casi, l’orientamento sessuale di un individuo si manifesta a seconda dell’emergere di ormoni maschili o femminili. Io penso che l’omosessualità possa essere considerato un orientamento sessuale legittimo, seppur numericamente meno comune rispetto all’eterosessualità. A me personalmente rimane difficile condannare un individuo, maschio o femmina che sia, per le sue scelte sessuali, cioè per l’attrazione per una persona dello stesso sesso. Ciò che però ai miei occhi pare elementare e quasi scontato, non deve far chiudere gli occhi dinanzi alla strisciante intolleranza di chi ancora pensa che l’omosessualità sia una malattia, una piaga sociale, una anormalità o addirittura qualcosa di demoniaco. Io ho sempre pensato che la pluralità e l’accettazione della diversità siano il presupposto per una vera coesione sociale e per la ricchezza (in senso lato) delle nazioni. Mi auguro con tutto il cuore che la persecuzione e la feroce repressione subita nei secoli dagli omosessuali, e che, durante il fascismo raggiunse vette di immane intolleranza, siano con il tempo sbiaditi ricordi di un’epoca a noi sempre più lontana.

Letture

  1. George L. Mosse – Sessualità e nazionalismo. Mentalità borghese e rispettabilità
  2. Lorenzo Benadusi – Il nemico dell’uomo nuovo. L’omosessualità nell’esperimento totalitario fascista

Autore

Federico Mugnai

Arezzo, 1987. Si è diplomato al Liceo
scientifico Francesco Redi di Arezzo.
Cultore di letteratura ottocentesca, russa in particolare. Studioso di
storia della prima metà del ‘900 con un’attenzione meticolosa alla
storia dei totalitarismi, soprattutto fascismo e nazismo.

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Biografia

Federico Mugnai

Arezzo, 1987. Si è diplomato al Liceo
scientifico Francesco Redi di Arezzo.
Cultore di letteratura ottocentesca, russa in particolare. Studioso di
storia della prima metà del ‘900 con un’attenzione meticolosa alla
storia dei totalitarismi, soprattutto fascismo e nazismo.

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