REDAZIONE
L’inquinamento di ogni elemento della natura: terra, aria e acqua e l’impatto catastrofico che questo potrà avere sul clima, se l’uomo non saprà porre rimedio allo squilibrio dell’ecosistema innescato dalle sue attività produttive. Danilo Petri presenta un altro tema di grande dibattito ed attualità ponendo ancora una volta al centro della sua riflessione l’uomo e la sua tendenza a mettere in pericolo la sua stessa esistenza per seguire logiche che in ultima analisi risultano perverse e pericolose.
La lunga storia del confronto dell’uomo con la natura è una storia di indiscutibile successo. La presenza della nostra specie in natura è frutto del caso ma una straordinaria capacità di adattamento ci ha consentito, negli ultimi 200.000 anni e forse più, di imporci come dominatori, fino al punto di credere che l’intero equilibrio biologico e l’evoluzione stessa abbiano avuto come fine, come obbiettivo, l’uomo stesso. L’antropocentrismo si è insediato nella mente degli uomini, le religioni e gli slanci magici del pensiero hanno prodotto superbia, distacco, sottovalutazione dell’ambiente naturale in cui siamo semplicemente immersi; abbiamo creduto che il nostro successo fosse inscritto nel grande libro del destino planetario, che la nostra presenza fosse predeterminata e che questo ci potesse consentire persino di piegare senza scrupoli la natura ai nostri interessi più futili.
Per i primi 190.000 anni della nostra storia non è stato così: l’uomo si è servito della natura per scopi di sopravvivenza semplici, mangiare, riscaldarsi, trovare riparo e sicurezza, riprodursi. Poi, grazie all’ingegno, abbiamo cominciato a costruire attrezzi, armi, trappole e utensili e persino a produrre creazioni artistiche, frutto dell’incontenibile desiderio di espressione e di desiderio di conoscenza. Abbiamo sfruttato con perizia le nostre congenite caratteristiche per insegnare, per trasferire cultura e abilità; abbiamo utilizzato il linguaggio e, con esso, l’abilità del pensiero astratto: abbiamo insomma costruito un processo che ha portato la nostra specie ai livelli di coscienza che sappiamo.
Intorno a diecimila anni fa l’intelligenza degli uomini produsse una grande rivoluzione, quella del neolitico, quella agricola. La natura poteva essere domesticata e così fu: semi coltivati, animali domestici come fonte di sussistenza alimentare e come aiuto nel lavoro, fiumi regimentati e con questo la possibilità di fermarsi e costruire embrioni di civiltà, comunità, tribù, cooperazione. A seguire, divisione del lavoro, commercio, accumulazione, possibilità di sostentamento per gruppi sempre più numerosi, crescita della ricchezza e con essa una repentina crescita demografica. Poi lo spirito avventuroso e pioneristico trasferì tali nuove conquiste in giro per il mondo: dalla mezzaluna fertile, in particolare dalla zona anatolica, gli uomini portarono competenze e geni in molti luoghi (interessante notare, per esempio, che i nostri connazionali della Sardegna portano ancora i geni di quell’antica invasione in percentuali non riscontrabili nella popolazione italiana in generale). Prima di questa enorme rivoluzione il tasso di crescita necessitava di un milione di anni per offrire sussistenza ad un altro milione di individui, da allora lo stesso risultato si otteneva soltanto in due secoli. Oggi l’economia mondiale cresce mediamente di quella quantità ogni novanta minuti!
Il tasso di crescita odierno comincia con l’altra gigantesca rivoluzione, quella industriale. Con la Rivoluzione Industriale di fine settecento (tessitura automatizzata e macchina a vapore) cambiarono assetti sociali ed economici, il sistema produttivo dette origine alla classe operaia e all’imprenditoria capitalistica e il profitto divenne il motore virtuoso della crescita. Con la rivoluzione di fine ottocento (elettricità, chimica, energia fossile) l’aumento dei tassi di crescita si fece ancora più consistente e il mondo conobbe una ricchezza persino inaspettata. Ma da allora il rapporto dell’uomo con la natura è cambiato assai: la rincorsa, per un secolo, non ha tenuto conto degli effetti perversi che poteva causare.
L’INQUINAMENTO
Inquinamento industriale e agricolo, rifiuti tossici ed emissioni di sostanze nocive hanno infestato la natura e messo a repentaglio la salute degli uomini.
Nell’aria particolato, idrocarburi, ossidi e metalli pesanti e diossine hanno raggiunto concentrazioni tali da causare malattie varie e non ce ne siamo accorti con preoccupazione fino agli anni settanta del secolo scorso.
Nell’acqua ancora metalli pesanti, mercurio, cromo, piombo e acidi e soda, ammoniaca, e tutti gli scarti prodotti dalla enorme densità della popolazione urbana e dall’insufficiente capacità di smaltimento dei rifiuti. E la plastica arriva al mare, forma intere isole e si sgretola in piccolissime parti che entrano nel ciclo alimentare.
Nel suolo ancora tutti gli inquinanti di cui sopra e sostanze organiche, fertilizzanti e pesticidi che contaminano anche le falde acquifere.
Un secolo di trascuratezza ambientale e ancora oggi la sensibilità delle masse non è ancora all’altezza della necessità di un rimedio sostanziale, anche se a partire dagli anni settanta del secolo scorso i regolatori hanno fatto qualche passo avanti in molte regioni del mondo.
Gli uomini intimamente adorano mare e monti, prati e fiori, animali e piante e si emozionano ad ogni rosso tramonto. I poeti si ispirano alla natura, i pittori la dipingono, i musicisti a volte cercano di rappresentarla. I filosofi metafisici si interrogano sulla sua essenza, i teologi la divinizzano. I contadini sapevano regolare le loro colture e la loro stessa vita sui cicli naturali, ma la società post-industriale è stata una gigantesca deviazione del senso pratico, della convivenza dentro la natura, ha prodotto miglioramenti sostanziali della vita pratica ma ha rotto molti equilibri. Diciamo che abbiamo esagerato.
La deforestazione per esempio: da sempre abbiamo tagliato gli alberi, per la legna, per costruire manufatti, abitazioni, imbarcazioni ma negli ultimi decenni abbiamo sterminato foreste pluviali, polmoni del pianeta.
Con la rivoluzione agricola abbiamo imparato ad allevare animali per l’alimentazione ma gli allevamenti intensivi del presente sono più che un’esagerazione, appaiono come luoghi di crudeltà e sterminio e contribuiscono ad emissioni dannose per l’atmosfera e alla resistenza agli antibiotici.
Inquinamento, plastica, deforestazione e la nostra pervicace trascuratezza e ignoranza ha poi inciso in forme preoccupanti sulla biodiversità, “in poco più di 50 anni è andato perduto l’83% dei mammiferi selvatici e la biomassa degli insetti è diminuita con tassi che oscillano tra il 70 e il 98% a seconda delle specie e del periodo dell’anno” (dal web)
Fin qui abbiamo visto quanto siamo capaci di far del male al pianeta e quindi soprattutto a noi stessi, dato che la Natura in ogni modo saprà essere resiliente, soffrirà ma non finirà di vivere, cambiare, evolversi.
il cambiamento climatico
Ora tenterò di riassumere il grande problema che mette in serio pericolo la vita umana, la civiltà e, in una versione catastrofistica, persino l’esistenza stessa della nostra specie. Il cambiamento climatico di origine antropogenica.
Il clima è certamente un fenomeno caotico e complesso e stabilire modelli predittivi risulta estremamente difficile, ma negli ultimi decenni la scienza ha saputo evidenziare elementi precisi che ne influenzano gli sviluppi. Alcuni di essi sono di origine antropica senza alcun dubbio ormai: il consenso scientifico su questo è amplissimo (possiamo ragionevolmente dire che oltre il 95% degli scienziati concorda su questo aspetto).
L’impatto della rivoluzione industriale di fine ‘800, che ha condotta l’intero pianeta verso un’industrializzazione massiccia e pervasiva, oltre ad aver prodotto i guasti a cui ho accennato sopra ha contribuito al riscaldamento globale. L’uso industriale dell’energia prodotta da combustibili fossili ha contribuito a enormi emissioni di diossido di carbonio, gli allevamenti intensivi ad emissioni di metano, la deforestazione ad abbassare l’impatto positivo delle piante nel riassorbimento del CO2.
Gli equilibri dei sistemi complessi e caotici sono assai delicati e il clima non fa eccezione. Tutti sanno che il diossido di carbonio fa parte dei gas serra (metano e ozono fra gli altri e soprattutto vapore acqueo) che contribuiscono all’equilibrio che consente alla terra una temperatura particolarmente mite e adatta ad ospitare la vita. Ma piccole variazioni degli elementi di questo equilibrio naturale possono dare effetti pericolosissimi, producendo possibili retro-azioni, negative o positive, difficilmente controllabili e mitigabili se non con interventi drastici. Sappiamo da dati statistici obbiettivi rilevati da IPCC (gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici) che la temperatura del pianeta, oceani, criosfera, atmosfera si è palesemente alzata negli ultimi 100 anni a ritmi davvero preoccupanti, provocando effetti sul clima già oggi forieri di alcune conseguenze dannose. Le considerazioni sugli effetti visibili e verificabili sono oggettive ma anche le previsioni sul futuro appaiono molto accurate e molto probabili.
Mentre sto scrivendo queste parole nei telegiornali si parla di un’ondata di caldo estremo particolarmente dannosa registrata in Canada con centinaia di morti e un pericoloso aumento della possibilità di incendi catastrofici. Nello stesso tempo in Sud America nevica in zone che non conoscevano precipitazioni da anni. Il clima sembra impazzito ma gli scienziati con fatica cercano e spesso riescono a ricostruire la catena di causa-effetto e tutto sembra ricondurre al riscaldamento globale.
Gli effetti già riscontrabili obbligano molte popolazioni a far fronte, con criteri di adattamento, a situazioni problematiche e ciò induce tutti a considerare tale necessità. Quindi il fronte si muove su due binari; adattamento e mitigazione e drastici e decisivi interventi capaci di invertire la tendenza.
Il riscaldamento in atto già ha prodotto conseguenze evidenti: ondate anomale di caldo, siccità in aumento in alcune zone e parimenti eventi metereologici estremi come cicloni, alluvioni e gelo.
Ma l’effetto valanga che si potrebbe prospettare in assenza di adeguati accorgimenti e di tanta volontà, politica e scientifica, è ciò che deve allarmare l’umanità. Dobbiamo avere coscienza della trascuratezza verso il nostro ambiente che ha accompagnato il nostro modello di sviluppo a partire da fine ottocento e porci all’altezza della sfida sul futuro.
Se non facciamo in fretta potremmo assistere e subire: desertificazione di vaste aree del pianeta, scioglimento progressivo dei ghiacci, riscaldamento e acidificazione degli oceani e loro innalzamento; ciò produrrebbe una serie enorme di guasti conseguenti di cui già vediamo avvisaglie.
Pensiamo ai popoli del sud del pianeta, che subirebbero desertificazione e siccità: per sfuggire alla morte o alla carestia non potrebbero far altro che migrare verso il nord. Pensiamo ai popoli costieri che sarebbero costretti ad abbandonare le loro case producendo cambiamenti esistenziali esiziali.
I problemi di evidenza palmare ci invitano alla prudenza e alla lungimiranza ma ci sono anche presupposti per scenari ancora più inquietanti se non mettiamo in atto un profondo cambiamento in grado di evitare il peggio.
Secondo IPCC se non facessimo nessuna correzione al modello di sviluppo basato sui combustibili fossili la temperatura media del pianeta potrebbe crescere fino a +6°C durante il XXI secolo e le conseguenze sarebbero davvero catastrofiche, fino al punto da produrre una enorme riduzione della biodiversità e persino rischi esistenziali per l’umanità stessa.
Ma gli uomini non sono solo distratti, accecati dal desiderio di ricchezza, superficiali e ignoranti, non sono soltanto sciocchi dominatori della natura, sanno di essere loro stessi natura e sanno che nella relazione positiva con essa si nasconde la vera prosperità della specie. Cultura, semplice buon senso, educazione ambientale, buon uso della tecnologia, razionalità, rifiuto di ogni fanatismo, politico o religioso che sia e una politica lungimirante potrebbero scongiurare il peggio.
Alla vigilia della pubblicazione di questo articolo giunge notizia di alluvioni in Belgio, Olanda e soprattutto in Renania-Palatinato con centinaia di vittime e dispersi. Le alluvioni ci sono sempre state ma adesso conosciamo meglio le cause.
(Questo articolo trascura un monte di dettagli e soprattutto le strategie concrete che popoli e regolatori dovranno mettere in atto nel prossimo futuro … ne riparleremo)
LETTURE:
- Richard Muller – Fisica per i presidenti del futuro – Codice ed. 2009
- Marin Rees – Il nostro futuro – Treccani 2019
- https://www.edge.org/
- https://futureoflife.org/
- https://pikaia.eu/
- https://www.ipcc.ch/